Test del prodotto

DAC di alta gamma: libidine per l’udito o spreco di soldi?

David Lee
8.9.2023
Traduzione: Martina Russo

I DAC servono per riprodurre la musica. I notebook e altri dispositivi hanno spesso un DAC integrato. Mi interessava scoprire cosa c’è di così tanto diverso tra un DAC costoso e uno economico.

Di fronte a me ho una piccola scatola nera che costa più di 1000 franchi e addirittura più di 1200 euro in Germania. Si tratta di un DAC che, come molti altri DAC, funge anche da amplificatore per cuffie.

Prima di iniziare il test, ecco qualche informazione di base. Perché forse non ti è molto chiaro a che cosa dovrebbe servire un dispositivo come questo.

Che cos’è un DAC?

DAC sta per Digital Analog Converter, che in italiano chiamiamo anche convertitori DA. È un componente necessario per la riproduzione della musica digitale. Infatti, le onde sonore sono analogiche, ma i dati digitali devono essere convertiti in un segnale analogico affinché le cuffie o gli altoparlanti possano produrre onde sonore.

La conversione da digitale ad analogico può avvenire in diversi punti. Se colleghi un cavo audio da 3,5 mm direttamente al notebook, la conversione avviene già nel computer. Se invece colleghi delle cuffie via USB o Bluetooth, i dati digitali vengono inviati alle cuffie e solo lì convertiti. Quindi una cuffia USB o Bluetooth ha anche un convertitore DAC incorporato.

Ma il DAC può anche essere un dispositivo stand-alone che si inserisce tra il dispositivo sorgente e le cuffie. Riceve i dati digitali via USB, li converte in segnali analogici e li trasmette al jack delle cuffie.

Perché un dispositivo esterno?

Molti puristi dell’audio ritengono che i DAC integrati nei notebook e negli smartphone non siano proprio il massimo. E che la differenza con un DAC esterno sia evidente. In breve, la musica dovrebbe semplicemente sentirsi meglio.

Un altro motivo è che molti DAC esterni sono dotati di connettori aggiuntivi che ti permettono di utilizzare spine diverse senza bisogno di un adattatore. E di funzionalità aggiuntive. Ad esempio, un semplice potenziamento dei bassi o un sacco di funzioni extra, come nel caso dell’unità RME che ho sulla mia scrivania.

Tra l’altro anche gli hub USB con uscita per le cuffie includono un DAC. Difficilmente, però, sarà meglio dei DAC integrati nel computer. In questo caso l’unico vantaggio è che il jack delle cuffie può trovarsi in una posizione più comoda.

Vale la pena acquistare un DAC così costoso?

Questo è il grande interrogativo a cui il mio test si propone di dare una risposta. In linea generale i prodotti di fascia alta sono sempre sproporzionatamente costosi, soprattutto nel settore audio. Perché la buona qualità della musica è qualcosa di così straordinario che sono in molti a non preoccuparsi se devono pagare di più. A loro interessa solo la migliore qualità possibile.

Ma come ho scritto nell’articolo qui sotto, al giorno d’oggi non si producono più DAC con un cattivo suono. Soprattutto non quelli esterni. Viene quindi da chiedersi quale sia il valore aggiunto di un DAC costoso. Per di più il dispositivo RME Audio che ho di fronte è uno dei meno cari tra i DAC più costosi.

Ma volevo sentire con le mie orecchie il suono di un prodotto così costoso. Sarà davvero un’esperienza così straordinaria? Oppure sarà invece una grossa delusione? O magari il valore aggiunto non ha nulla a che vedere con il suono?

Primo approccio

Appena tolgo il DAC RME ADI-2 dall’imballo noto, oltre al telecomando, anche la presenza di un dettagliato manuale d’uso. La versione in lingua tedesca è composta da 74 pagine e non spiega soltanto le funzioni, ma fornisce anche nozioni di base. Il che è molto utile, data la complessità della materia.

L’unità è dotata di un proprio alimentatore. In standby, l’alimentatore in dotazione emette buffi rumori, come una specie di sirena molto discreta. Quando è acceso, invece l’alimentatore è silenzioso.

Trovo lo schermo sulla parte frontale molto gradevole. Mi piace quando compare qualcosa mentre suona la musica, come succede con i dischi o i registratori a nastro. Qui mi fanno vedere live le variazioni di livello alle varie frequenze.

Sul retro sono presenti altri connettori: line-out per cinch (asimmetrico) e XLR (simmetrico), oltre a S/PDIF coassiale e ottico. Sono ingressi, quindi il DAC può essere utilizzato anche per registrare il suono. Evito di commentare la cosa, per ora. Le cose sono già abbastanza complicate così.

Un mare di funzioni

La gamma di suoni stereo può essere ridotta a mono. Il crossfeed simula nelle cuffie l’effetto sonoro degli altoparlanti: il suono del canale sinistro viene inoltrato, con un leggero ritardo, anche all’orecchio destro.

L’ADI-2 memorizza tutte le impostazioni, ad esempio il volume con cui è stato utilizzato per l’ultima volta un determinato connettore. Se inserisci un cavo in quel connettore, il DAC passa a quella sorgente utilizzando l’ultimo volume regolato.

Non voglio elencare qui tutte le funzioni. Solo un’ultima cosa: hai la possibilità di scegliere tra sei diversi filtri di ricostruzione. I filtri di ricostruzione determinano il modo in cui viene ricavato il segnale analogico partendo dai dati digitali.

I filtri di ricostruzione in dettaglio

Il manuale d’uso illustra in dettaglio i vari filtri DA, come vengono chiamati. Questi filtri sono: SD Sharp, SD Slow, Sharp, Slow, NOS e Brickwall.

I filtri influenzano anche la risposta in frequenza. Il filtro «NOS» ha la migliore risposta all’impulso, ma è quello che perde più volume alle alte frequenze. Inizia già tra i 10 e i 12 kHz, quindi ancora all’interno della gamma chiaramente udibile. Al contrario, il filtro «SD Sharp» ha la peggiore risposta all’impulso, ma non perde gli alti fino a 20 kHz.

Filtro: riesco a sentirlo?

Ho ascoltato dei campioni audio utilizzando i vari filtri prima di guardare tutti questi grafici e di ricercare le nozioni di base. Perché queste conoscenze pregresse influenzano ciò che si crede di sentire.

Come cuffie, uso principalmente le Beyerdynamic DT 990 Pro e le Sennheiser HD 660S2. Queste cuffie non sono nella fascia di prezzo del DAC. Sarebbe più adeguato qualcosa di Stax o Audeze. Ma purtroppo non ho nulla di simile.

Dapprima non sento alcuna differenza tra i filtri. Con il tempo riesco a distinguere che il filtro NOS suona un po’ più attutito rispetto a Sharp, SD-Sharp e Brickwall. I filtri Slow sembrano essere una via di mezzo, ma le differenze sono appena percettibili.

In base all’autotest con un generatore di suoni, sento frequenze fino a circa 16 kHz. Già a 15 kHz, però, devono essere piuttosto forti perché io riesca a sentirle. Non sorprende quindi che riesca ancora a percepire le perdite sulle alte frequenze del NOS, ma non quelle di tutti gli altri filtri. Non noto le frazioni di millisecondo dell’assestamento e dello smorzamento nemmeno quando sento un segnale di clic.

Ora, mentre scrivo la relazione, non sento per nulla le differenze. È come se la cosa fosse legata allo stato d’animo della giornata. È ovvio che sono differenze minime.

Confronto tra i DAC: riesco a sentirlo?

Voglio saperlo con precisione e cerco di fare un test alla cieca con me stesso.

Nell’impostazione audio MIDI di macOS posso creare un dispositivo multiuscita. In questo modo il Mac riproduce il suono su entrambi i DAC contemporaneamente. Questo è importante per poter passare rapidamente da un DAC all’altro, il che a sua volta è importante per sentire chiaramente le differenze.

Ai due DAC deve essere collegato lo stesso modello di cuffie. In primo luogo, perché ogni paio di cuffie riproduce il suono in modo diverso. In secondo luogo, perché altrimenti non sarebbe un test alla cieca: mi accorgo quando indosso un altro paio di cuffie.

Ascolto cinque pezzi: in tre identifico correttamente il DAC più caro, mentre negli altri due mi sbaglio. I tre che indovino sono anche quelli che ho già sentito suonare in precedenza. Con gli altri due ho dovuti indovinare senza averli ascoltati prima.

Le differenze sono così minime che potrebbero essere anche dovute alle cuffie. Perché la versione a 250 ohm e quella a 32 ohm hanno un suono molto, molto simile, ma non esattamente lo stesso.

Per farla breve: in un test alla cieca non sono in grado di distinguere in modo attendibile il DAC più costoso da quello più economico. Anche durante il preascolto non sono riuscito a percepire alcuna differenza.

Una parola sui chip utilizzati

La sostituzione dei chip è spiegata in modo esemplare nel manuale d’uso dell’ADI-2. RME Audio scrive anche: «Il DAC ADI-2 con AK4493 e l’ES9028Q2M non sono facilmente distinguibili né dal punto di vista sonoro né da quello ottico».

Frequenze di campionamento elevate e DSD

Il DAC ADI-2 può riprodurre suoni con una frequenza di campionamento fino a 768 kHz. Tuttavia, non dispongo di file musicali con percentuali così elevate. Ma non mi servirebbe neppure, perché già con pezzi a 192 kHz e a 44,1 kHz non sento alcuna differenza.

NativeDSD offre uno starter pack che include sei file DSD anche in formato FLAC, per il confronto. Tuttavia, i file DSD mi sembrano avere un volume molto più alto, per cui non è possibile fare un test alla cieca. Ma viste le limitazioni del DSD, per me non ha alcuna importanza anche se il suono potrebbe offrire minimi vantaggi.

Risultato: si distingue dalla massa, ma non nel suono

Il DAC RME Audio ADI-2 produce un suono eccellente. Tuttavia, lo stesso si può dire di DAC molto più economici. In ogni caso, io non sono in grado di distinguere in modo certo questo apparecchio dal mio DAC molto più economico in un test alla cieca. Tra i singoli filtri, inoltre, sento al massimo delle differenze trascurabili. Se la questione riguardasse solo il suono, l’ADI-2 sarebbe chiaramente troppo costoso rispetto alla concorrenza, almeno per me.

A mio parere, il luogo di impiego ideale per il DAC RME Audio ADI-2 è quello in cui si utilizza un’ampia varietà di cuffie. Ad esempio, uno studio musicale. Infatti con l’EQ è possibile creare dei profili per cuffie, mentre le due uscite per cuffie garantiscono prestazioni elevate e l’assenza di rumori per tutti i tipi di cuffie con cavo.

Immagine di copertina: David Lee

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Il mio interesse per il mondo IT e lo scrivere mi hanno portato molto presto a lavorare nel giornalismo tecnologico (2000). Mi interessa come possiamo usare la tecnologia senza essere usati a nostra volta. Fuori dall'ufficio sono un musicista che combina un talento mediocre con un entusiamso eccessivo. 


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