Recensione

«System Shock»: un remake ben riuscito, ma un po' troppo fedele all’originale

Philipp Rüegg
29.5.2023
Traduzione: Martina Russo

Mi piacciono i remake e mi piace «System Shock». La nuova edizione rivisita questo classico trentenne, ma resta troppo ancorata all’originale.

«System Shock» del 1994 è considerato una pietra miliare nella storia dei videogiochi. A bordo di una stazione spaziale abbandonata, ti ritrovi nei panni di un hacker a combattere contro un’intelligenza artificiale impazzita. Se ciò non fosse già abbastanza pericoloso, mutanti e cyborg cercano di farti la pelle. Il complesso gameplay e il mondo di gioco coinvolgente vennero acclamanti come una vera e propria rivoluzione del genere. Per lo studio LookingGlass, vale a dire gli sviluppatori e le sviluppatrici, ha rappresentato il punto di partenza per una serie di importanti «immersive sim» come «Thief», «Deus Ex» e «Bioshock».

Purtroppo alla sua uscita questo classico della fantascienza mi era sfuggito. Ho invece giocato con la seconda parte fino allo sfinimento. Le libertà di gioco, la costante minaccia da parte di creature inquietanti e la terrificante IA Shodan offrivano qualcosa di mai visto prima. Ecco perché ho sempre voluto giocare con l’originale. «System Shock», però, non è invecchiato particolarmente bene. Da una prospettiva moderna, risulta di difficile accesso sia a livello di gioco che di grafica. Il remake di Nightdive Studios mira a cambiare le cose.

Chi ha l’attrezzo più grande?
Chi ha l’attrezzo più grande?
Fonte: Nightdive

Hacker contro IA

Il gioco inizia con me nei panni di un hacker sorpreso a rubare dati aziendali sensibili. Per rimediare al torto fatto, la mega-azienda TriOptimum mi chiede di hackerare l’IA ribelle di una stazione spaziale. Detto, fatto e come ricompensa ricevo un impianto neurale che mi tornerà utile in un futuro distopico. Dopo l’operazione, mi risveglio da solo e senza alcun equipaggiamento nella suddetta stazione spaziale. Al momento non ho altre informazioni. E anche dopo la situazione non cambierà molto. Mi avvio alla scoperta dei dintorni,

ma mi rendo subito conto che qui qualcosa non torna. Ci sono cadaveri a terra dovunque e appena giro l’angolo un mutante con gli occhi iniettati di sangue mi si avventa contro. Due colpi ben assestati con un tubo d’acciaio che avevo trovato in precedenza mi evitano il peggio. Registrazioni audio mi forniscono informazioni frammentarie. A quanto pare in seguito al mio intervento l’intelligenza artificiale Shodan ha preso vita propria e un virus sperimentale si è diffuso sulla stazione. Non so ancora cosa devo fare o dove devo andare.

Il design retrò è elegante, ma in alcuni casi rende difficile capire con che cosa puoi interagire.
Il design retrò è elegante, ma in alcuni casi rende difficile capire con che cosa puoi interagire.
Fonte: Nightdive

Grazie al mio impianto, sono in grado di attivare moduli che mi aiutano nell’avventura. All’inizio si tratta di cose rudimentali, come la visualizzazione delle coordinate cardinali, il mio stato di salute o un radar che rileva gli oggetti nell’ambiente. Spero che in seguito ne arriveranno altri di più utili, ma non sono ancora così avanti nel gioco.

Per il remake, Nightdive ha scelto uno stile grafico essenziale e senza filtri. Questo crea quel look tipicamente retrò che mi torna in mente quando ripenso ai vecchi giochi. Facendo un confronto diretto, mi accorgo subito di quanto la nuova edizione sia nettamente superiore, anche per quanto riguarda «System Shock». I riusciti effetti luminosi e le luci al neon creano un design inconsueto che rispecchia perfettamente il senso di minaccia che trasmette la stazione spaziale contaminata e abbandonata. Ma c’è anche un problema: visto che praticamente tutte le macchine e i dispositivi intorno a me lampeggiano e si illuminano, faccio fatica a capire subito con cosa posso interagire.

L’arte dell’arrangiarsi

Almeno ho una mappa generale che mi mostra dove sono già stato e dove ci sono ancora porte chiuse. Per le prime ore vago a casaccio per l’area. Attivo alla cieca interruttori che azionano barriere laser o terminali che deviano l’energia. Questi ultimi offrono dei piccoli rompicapo interessanti nei quali bisogna collegare correttamente dei circuiti. In alcuni non riesco proprio a capire che cosa mi viene chiesto. Qui mi devo arrangiare.

In alcuni rompicapo associati ai circuiti non ho la minima idea di cosa fare.
In alcuni rompicapo associati ai circuiti non ho la minima idea di cosa fare.
Fonte: Philipp Rüegg

È un mistero anche che cosa dovrei raccogliere, tra tutte le cose che ci sono in giro. Le granate, le munizioni e le capsule di energia riesco a identificarle con relativa rapidità. In aggiunta, però, ci sono un sacco di cianfrusaglie come stetoscopi e sacche di sangue. Alcune di queste posso usarle come scarti e inserirle in un distributore automatico in cambio di crediti. Con questi, poi, posso acquistare dei potenziatori di combattimento che mi consentono di picchiare più forte per un breve periodo di tempo.

Nel frattempo ho trovato anche alcune armi da fuoco. Fino a quel momento, viaggiavo armato solo di un’enorme chiave inglese. Mi servono con urgenza dei fucili a impulsi e dei laser blaster, perché i mutanti non sono l’unica minaccia a bordo. Non particolarmente intelligenti, ma comunque pericolosi, sono infatti i cyborg – facilmente riconoscibili dal bagliore rosso vivo della loro visiera laser. Nella stazione spaziale scarsamente illuminata creano un discreto livello di inquietudine. Devo poi stare ancora più attento ai robot da combattimento. Con loro preferisco lanciare un paio di granate dietro l’angolo piuttosto che affrontarli direttamente.

Gli effetti di luce sono particolarmente belli.
Gli effetti di luce sono particolarmente belli.
Fonte: Nightdive

La mappa, inizialmente abbastanza chiara, dopo le prime ore cresce in modo significativo. Cosa che non rende più semplice trovare il mio obiettivo. Non esiste un registro delle missioni o altre cose simili. Naturalmente ci sarà da eliminare Shodan in qualche modo. La seconda parte di «System Shock» mi rivela infatti che non posso risolvere questo compito in modo completamente soddisfacente. Qui il modello è più chiaramente visibile. I giochi di oggi mi bombardano di tutorial, mi segnalano il percorso da seguire verso l’attività successiva con tracce luminose o identificano in giallo gli oggetti con cui devo interagire. «System Shock» si fida soltanto del fatto che alla fine troverò il mio obiettivo.

E in effetti, distruggendo quattro cilindri luminosi verde, riesco finalmente a far funzionare un ascensore bloccato. Risultano poi essere unità di elaborazione. Questo non si addice affatto alla cache di Shodan. Con una voce computerizzata distorta di una bellezza inquietante, l’IA esprime chiaramente la sua opinione su di me, vile essere in carne e ossa. Da tempo mi sono abituato al fatto che la tecnologia mi odia e mi avvio al piano successivo senza curarmi di nulla.

Shodan è uno dei migliori cattivi della storia dei videogiochi..
Shodan è uno dei migliori cattivi della storia dei videogiochi..
Fonte: Nightdive

In una stanza attigua scopro un dispositivo insolitamente luminoso. Sembra un boomerang conficcato al contrario nel muro. Appena ci clicco sopra, il gioco mi trasporta nel cyberspazio. Naturalmente, tutti sanno che l’hacking funziona così. Qui dentro tutto appare lucido e rifinito. Posso volare liberamente in questo spazio tridimensionale. Ancora una volta, non ho la minima idea di cosa devo fare. Tuttavia, le astronavi nemiche o i programmi antivirus mi fanno capire chiaramente che sono persona sgradita. Così ci spariamo a vicenda con proiettili laser colorati. Mi sembra di trovarmi in «Descent», lo sparatutto ambientato tra le stelle. Alla fine distruggo una colonna luminosa e abbandono lo spazio cibernetico attraverso un quadrato verde. A quanto pare è servito, perché ora si è disattivata una barriera e ho davanti a me una nuova area da esplorare.

Sparare all’impazzata nel cyberspazio per hackerare il sistema. Funziona così, no?
Sparare all’impazzata nel cyberspazio per hackerare il sistema. Funziona così, no?
Fonte: Nightdive

Serve il giusto atteggiamento

Nelle prime ore di «System Shock» mi sento a disagio. Raramente so cosa fare o dove andare. Ma questo contribuisce a creare l’atmosfera. Insieme alla pazza IA Shodan, che pronuncia minacce passivo-aggressive tramite altoparlanti e display pixelati con la sua smorfia verde, la stazione spaziale risulta straniante e aliena.

L’accattivante stile grafico retrò stuzzica la mia voglia di esplorare le stazioni abbandonate e trovare un modo per sconfiggere Shodan. Su di me, che non ho giocato sull’originale del 1994, il remake dà l’impressione di autenticità. Molti elementi, però, come il sistema di armi, l’interfaccia utente o le meccaniche di hacking, sono stati modernizzati a vantaggio della giocabilità. Tuttavia, vorrei che il gioco mi offrisse ancora più agevolazioni o aiuti per il gioco. Troppo spesso mi trovo a brancolare senza meta.

Se hai un po’ di pazienza, System Shock promette di essere un’emozionante avventura sci-fi. Rimarrò sicuramente sintonizzato. In alternativa, puoi dare un’occhiata alla versione aumentata dell’originale o cimentarti con la seconda parte. Potranno avere un aspetto un tantino polveroso, ma anche questo ha il suo fascino.

«System Shock» è disponibile per PC, la versione per console seguirà più tardi. Il gioco mi è stato fornito da Plaion.

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Vado matto per il gaming e i gadget vari, perciò da digitec e Galaxus mi sento come nel paese della cuccagna – solo che, purtroppo, non mi viene regalato nulla. E se non sono indaffarato a svitare e riavvitare il mio PC à la Tim Taylor, per stimolarlo un po' e fargli tirare fuori gli artigli, allora mi trovi in sella del mio velocipede supermolleggiato in cerca di sentieri e adrenalina pura. La mia sete culturale la soddisfo con della cervogia fresca e con le profonde conversazioni che nascono durante le partite più frustranti dell'FC Winterthur. 


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