
Retroscena
Martin Feusi e il suo cinema in cantina
di Luca Fontana
Martin Suter, autore di bestseller svizzero, ottiene il suo primo lungometraggio documentario cinematografico. Sul set diventa chiaro: le riprese di un film possono essere rovinate da una singola nuvola.
Martin Suter è scrittore. Non uno qualsiasi. È uno degli scrittori germanofoni più letti.
È anche sceneggiatore, a volte cantautore, ex editorialista per Weltwoche, Tagesanzeiger e NZZ, e prima – molto, molto prima – copywriter per la rinomata agenzia di Basilea GGK. La sua svolta internazionale è arrivata nel 1995 con Small World. 15 anni dopo il libro è stato trasformato in un film con Gérard Dépardieu nel ruolo principale – uno dei tanti adattamenti cinematografici dei suoi libri.
Ora viene prodotto il primo lungometraggio documentario cinematografico sull’autore di bestseller svizzero, molto apprezzato anche all'estero. Si gira a Oerlikon. «Überbauung Beckhammer.» I condomini giallastri degli anni Cinquanta si alternano ad ampi spazi verdi e ad alberi secolari. Modesto, ma carino allo stesso tempo. Suter ha vissuto qui fino ai cinque anni.
La scena che vogliono girare è tratta dal romanzo «Die Zeit, die Zeit», pubblicato da Diogenes nel 2012. Le riprese vengono fatte con due troupe: una in strada, l’altra in un condominio di tre piani, da qualche parte in un vecchio appartamento ammuffito al primo piano.
DCM Film Distribution, la casa di produzione, ha invitato la stampa a visitare il set. Me incluso. Armato di carta e penna. Non mi è permesso fare domande – solo fare la mosca sul muro.
È esattamente ciò che ho fatto.
«Abbiamo due opzioni».
Una donna sui 30 anni. Forse anche più giovane. I suoi lunghi capelli castani sono raccolti in una coda. C’è un tocco di frenesia nella sua voce, ma non è stridula. È vestita casual. Maglietta verde oliva su jeans nero. Le scarpe sembrano comode. Sneaker. Piuttosto usurate. Tipico per qualcuno che sta molto in piedi. L'assistente alla fotografia?
«Possiamo posizionare la telecamera qui, in giardino, o laggiù, sul balcone».
«Proviamo laggiù», risponde un uomo di mezza età. Un cappellino a scacchi rosso nasconde la sua calvizie. Indossa una maglietta nera e bucata. Vestiti da lavoro. Sembra magro. Ma afferra il grande treppiede con una facilità che suggerisce più forza di quanto sembra. Dietro di lui si trascina un ragazzo di circa 20 anni, che porta la pesante cinepresa sulle spalle. I suoi pantaloni sono corti e logorati. Farfuglia qualcosa che nessuno ha sentito o capito.
Si sente uno scrocchio provenire da una ricetrasmittente. Tutti i membri della troupe, circa una decina di persone, ne portano una alla vita.
«Com’è la situazione là fuori», si sente chiedere un uomo dalla ricetrasmittente, «nei prossimi minuti ci saranno nuvole a coprire il sole?»
Potrebbe averlo chiesto qualcuno responsabile per le luci nell’appartamento, dove sta girando l’altra troupe. A seconda dell'incidenza della luce l'intero scenario cambia. Questo non va bene per un film, in cui ogni inquadratura deve sembrare provenire da un’unica sequenza.
La donna con le sneaker usurate guarda verso il cielo, aggrotta la fronte con aria preoccupata, prende in mano il ricetrasmettitore e risponde al collega.
«Presto potremmo avere un altro problema».
Pausa.
«Pioggia».
«Dobbiamo sbrigarci. Dannazione. L'app non lo mostrava stamattina».
La donna con le sneaker lo dice più a se stessa che alla troupe. Guarda spesso il suo cellulare. Controlla l'applicazione meteo. Guarda di nuovo il cielo con aria preoccupata. Come se cercasse di far sparire le nuvole con lo sguardo. Da qualche parte, sullo sfondo, degli operai stanno sistemando gli ultimi dettagli su un terrazzo. Qualcosa si rompe. Qualcuno impreca.
Il terrazzo – si trova sul lato opposto del condominio – appartiene all’appartamento del personaggio del romanzo Knupp, di «Die Zeit, die Zeit». Knupp crede negli insegnamenti della «Gravimotion», che nega l’esistenza del tempo. Tutto ciò che esiste è cambiamento. E il cambiamento crea l'illusione del tempo.
Nel libro Knupp e il suo vicino Taler – Taler è il vero protagonista – vogliono dimostrarlo. Lo fanno arrangiando l'intero ambiente esattamente come è rappresentato nelle foto di un giorno ben specifico del 1991. Se l'esperimento dovesse funzionare, i due uomini darebbero alla storia un corso diverso – e riporterebbero in vita le loro mogli defunte.
Mentre la troupe esterna allestisce la telecamera in strada, si avvicina un uomo dai nobili pantaloni di stoffa abbinati a una giacca nera. Oppure è blu notte? La cravatta oro si abbina perfettamente. Le scarpe sembrano molto costose. I suoi capelli neri corvini di media lunghezza sono pettinati all'indietro. Gli scuri occhiali da sole gli nascondono gli occhi, ma hanno stile. Poi l'uomo se li toglie. Scopre il suo volto.
Martin Suter.
Il documentario racconta la storia dello scrittore Martin Suter. Tuttavia, vengono messe in scena scene tratte dai romanzi di Suter. Suter vi accede con passo disinvolto, racconta tutto ciò che ha da raccontare di sé, del libro o della vita stessa. Poi segue la successiva scena a cui accede di nuovo passeggiando.
Sul set Beckhammer, l'autore di bestseller dovrebbe passeggiare lungo la strada proprio nel momento in cui un sospettoso Taler si affaccia alla finestra guardando verso la terrazza di Knupp.
Impresa facile? No, per niente.
Prima la prova. Suter passeggia per la strada. Nessuna telecamera riprende. Ma il suo percorso è controllato al millimetro. Suter percorre nuovamente la strada. Una piccola correzione. Un nuovo tentativo. E un altro ancora.
«La luce è troppo dura».
Il cameraman calvo istruisce il giovane con i pantaloni consumati a prendere una cornice di legno e a coprirla con un telo. Annuendo se ne va.
«Signor Suter? Faccia un passo indietro per favore. Sì. Esattamente così. No, stop. Un po’ più avanti. Ora a sinistra. Perfetto. Segnate, per piacere!».
La donna con le sneaker prende due strisce adesive fluorescenti fucsia e le posiziona a forma di T per marcare la posizione. Poi le attacca dove sono le scarpe di vernice di Suter. Improvvisamente sono al centro dell'attenzione. In questo momento non c'è niente di più entusiasmante delle scarpe di vernice di Martin Suter.
Il giovane assistente è tornato. In mano ha una grande cornice di legno, coperta da un telo bianco. Non deve fare ombra. Deve diffondere la luce, risolvendo il problema accennato prima della luce troppo dura. In gergo tecnico questa costruzione si chiama «Softbox». Mentre il cameraman guarda attraverso l'obiettivo e dà istruzioni – forse è cameraman e contemporaneamente assistente alla regia – l’aiutante fissa la costruzione su un treppiede.
Lo stesso treppiede di cui poco prima la donna con le sneaker aveva detto «Qualcuno può togliere di mezzo questo coso!?».
Il diffusore fatto in casa è in posizione a circa due metri dal suolo. Le riprese possono continuare. O iniziare.
«La telecamera sta andando. E azione!»
Suter fa un passo.
«Cut!»
Un residente vuole imboccare il quartiere Beckhammer con la sua auto. Disturba l’immagine. Ma la troupe fa spazio e lo lascia passare.
«Ok. Ancora una volta. Tutto in posizione. La telecamera sta andando. E...»
«Fermi, aspettate!»
Era il regista, dall’altra parte della strada. Il fatto che finora non si sia notato non si deve di certo alla sua stazza. È alto, ben piazzato e molto muscoloso. La voce sonora forte e decisa. Lo sguardo fisso sul monitor. Mostra ciò che il cameraman vede attraverso il suo obiettivo. Il problema: le nuvole, che fino ad un attimo fa coprivano il sole, si sono allontanate.
La donna con le sneaker esulta interiormente. Lo sta facendo sicuramente. Ma il cameraman impreca. Passano cinque minuti. Poi dieci. Non succede nulla. Attesa. Non si teme più che inizi a piovere.
Improvvisamente va di nuovo via la luce.
«Ragazzi, procediamo laggiù?!», si domanda qualcuno dalla ricetrasmittente.
L’attore che interpreta Taler è nell’appartamento da ciò che sembra ormai un’eternità. Ma delle nuvole scure si sono di nuovo spinte davanti al sole. Un operaio giura di aver sentito una goccia d’acqua. Ci sta volendo troppo tempo. Il nervosismo aumenta. La donna con le sneaker guarda di nuovo il suo cellulare.
L'autore di bestseller, tuttavia, sta lì in piedi stoicamente. Non si muove di una virgola. La calma fatta persona. Se è infastidito, non lo dà a vedere.
«Procuriamo un ombrello al signor Suter? Dai, gli prendo un ombrello nero», dice la donna con le sneaker. Il cameraman non la nota. Non ha più la pazienza.
«Continuiamo. Tutti in posizione? Bene. La telecamera sta andando. E azione!»
Martin Suter fa i suoi passi. Ben ponderati. Dopo circa due metri si guarda oltre la spalla fino a Taler e cammina un altro metro.
«E cut! Perfetto. Grazie, Signor Suter. Abbiamo la scena».
Le riprese sono la creazione di un film allo stato brado. Martin Suter deve percorrere tre metri di strada. Nel film finito è una scena di circa due secondi. Decine di membri della troupe, una donna con le sneaker, un cameraman, un regista e una star svizzera sono coinvolti nella sua creazione. Tempo di ripresa: circa un'ora.
Suter sorride. Soddisfatto. Si rivolge verso la troupe. Tira fuori gli occhiali da sole dal taschino. Li indossa. Apre la bocca. Dice qualcosa. Finalmente dice qualcosa. La sua voce è pacata. Senza fronzoli. E la battuta viene intesa proprio come lo voleva.
«Non sono stato bravo?»
«Martin Suter – Der Mann hinter den Geschichten», questo il titolo del lungometraggio documentario, regia di André Schäfer. Schäfer è un regista di documentari tedesco, noto per opere come «Deutschboden» del 2014 e «Herr von Bohlen privat» del 2007.
Il documentario uscirà nelle sale a partire dall'autunno 2021.
La mia zona di comfort consiste in avventure nella natura e sport che mi spingono al limite. Per compensare mi godo anche momenti tranquilli leggendo un libro su intrighi pericolosi e oscuri assassinii di re. Sono un appassionato di colonne sonore dei film e ciò si sposa perfettamente con la mia passione per il cinema. Una cosa che voglio dire da sempre: «Io sono Groot».