Retroscena

Trent’anni di «Wolfenstein 3D»: il precursore degli sparatutto che fece scandalo

PC Games
26.4.2022
Traduzione: Martina Russo

Da controverso sparatutto alla rinascita del marchio per merito dello sviluppatore svedese Machine Games. In occasione del trentennale di «Wolfenstein 3D», ripercorriamo la storia della leggendaria serie «Wolfenstein».


Questo articolo è stato scritto dal nostro partner «PC Games». Qui trovi l’articolo originale (in lingua tedesca) di OIaf Bleich, Benedikt Plass-Fliessenkämpfer e Lukas Schmid.


Il successo iniziale e il tramonto di «Wolfenstein»

Il gioco successivo, pubblicato nel 1985, continuava la storia. Questa volta c’era da far saltare in aria Adolf Hitler, nascosto in un bunker a Berlino, con una bomba che andava prima conquistata. I creatori vollero introdurre forzatamente degli elementi stealth, ad esempio sostituendo le granate con silenziosi pugnali. Era anche possibile nascondere i nemici morti.

Tutte cose, però, che non bastarono a garantire il successo atteso al gioco, i cui contenuti erano ancora troppo statici. A quei tempi Muse Software era comunque già in grosse difficoltà finanziarie e per questo fu costretta a lasciare a casa gran parte del personale. Mentre Warner passava a Microprose, nel 1987 la Muse Software chiudeva i battenti.

«Wolfenstein 3D»: lo sparatutto dello scandalo

Dopo la bancarotta della Muse il marchio «Castle Wolfenstein» scomparve dal mercato, ma un giovane team di sviluppatori composto da ex collaboratori della Softdisk non se l’era dimenticato: così nacque id Software. Questa società americana fondata il 1 febbraio 1991 da John e Adrian Carmack, John Romero e Tim Hall aveva goduto di un successo precoce con la serie Commander Keen ed era alla ricerca di una nuova sfida.

Nacque allora l’idea di reinterpretare «Castle Wolfenstein». Non era però chiaro a chi appartenesse la licenza dopo la scomparsa di Muse Software. Fu chiamato Silas Warner, che creò il contatto. E fu così che, alla fine, id Software riuscì a comprare la licenza di «Wolfenstein» per 5000 dollari. Se ci pensiamo oggi, un affare pazzesco!

I lavori per «Wolfenstein 3D» iniziarono a metà gennaio 1992. Come base si era presa la tecnica di Catacomb 3D, uscito a novembre 1991, che però allora offriva ancora 16 colori e una risoluzione EGA. Adrian Carmack, lead artist, assunse la direzione della parte creativa e visuale elaborando immagini sprite in 2D in 16 colori.

Il capostipite degli sparatutto in modello shareware

Agli inizi il gameplay di «Wolfenstein 3D» era molto simile a quello dei suoi due predecessori. Durante la Game Developers Conference del 2022 John Romero ha dichiarato che inizialmente erano incluse ancora funzioni come «la ricerca dei corpi, la possibilità di trascinare via i soldati in modo che altri non li vedessero e potessero insospettirsi e l’irruzione in negozi o armadi».

La storia dello sviluppo di «Wolfenstein 3D» è ricca di aneddoti interessanti. Ad esempio il fatto che Sierra Online e id Software erano stati sul punto di collaborare, ma poi andarono ognuno per la sua strada per inconciliabilità sugli aspetti economici.

Durante lo sviluppo di «Wolfenstein» id Software si era anche trasferita dal freddo Wisconsin nella soleggiata Dallas, in Texas. In quel periodo il team centrale, poi composto da otto persone, fece il possibile per mantenere una stretta collaborazione, ben consapevole del fatto che stava nascendo qualcosa di speciale.

Diversamente dalle produzioni attuali, però, «Wolfenstein 3D» non uscì come un’unica versione completa. Quella volta si puntò invece sul modello shareware. La prima versione poteva essere copiata liberamente e aveva la funzione di ingolosire i giocatori.

«La nostra idea era di pubblicare prima lo shareware e poi di iniziare a vendere. Nel frattempo avremmo finalmente terminato i due capitoli che ancora mancavano. Dovevamo finire ancora i 20 livelli prima di poterli rilasciare agli utenti», spiega John Romero.

Scott Miller, fondatore di Apogee, sviluppò un modello di vendita completo, con varie fasce di prezzo: con 35 dollari i giocatori ricevevano la trilogia con 30 livelli, con l’aggiunta di 15 dollari ottenevano un’altra trilogia con 30 livelli e con altri 10 dollari anche un manuale con informazioni dettagliate sui 60 livelli.

Le polemiche e il sequestro

«Wolfenstein 3D» uscì prima come gioco shareware, raggiungendo così un vasto pubblico. Una grossa fetta dei suoi utenti era così entusiasta di questo sparatutto che acquistò il pacchetto completo, con tutti i livelli e il manuale. Apogee riferisce che alla fine del 1993 erano state distribuite oltre 100 000 versioni del gioco.

In Germania, però, «Wolfenstein 3D» finì ben presto sotto il fuoco incrociato delle autorità di tutela dei minori. Il 25 gennaio 1994 il gioco fu sequestrato dal tribunale locale di Monaco e da quello di Tiergarten. Il motivo, però, non era la rappresentazione di simboli anticostituzionali come la croce uncinata.

La motivazione della sentenza chiamava in causa, piuttosto, la rappresentazione eccessiva della violenza e la «l’esaltazione dell’idea di giustizia privata intrinseca nel gioco e della valutazione e considerazione positiva di scene di morte realizzate in modo sensazionalistico».

Quattro anni dopo «Wolfenstein 3D» torna alla ribalta sui media per la simbologia nazista utilizzata. Un «appartenente alla scena nazionalsocialista» aveva utilizzato lo sparatutto e i suoi scenari caratterizzati da croci uncinate, ritratti del Führer e l’inno del partito nazista nel menu principale come oggetto per la propaganda nazista e li aveva distribuiti tramite il suo forum.

L’Oberlandesgericht di Francoforte volle condannare l’estrema destra, ma l’onda d’urto della sentenza colpì soprattutto il settore dei videogiochi. In questo caso i giudici non avevano applicato la clausola di adeguatezza sociale che consente l’uso di questi simboli e motivi per fini artistici.

Questa sentenza ebbe un forte impatto sugli sviluppatori e sui distributori di giochi per computer e videogiochi e fu il motivo per cui in Germania per decenni fu necessario modificare i giochi che presentavano croci uncinate e motivi analoghi. Il sequestro di «Wolfenstein 3D» e la sua messa all’indice in Germania avvenne solo nell’autunno 2019.

Nuovo inizio con MachineGames

L’intenzione di fare di Doom un successo ancora più grande di «Wolfenstein 3D» modificò le priorità alla id Software. Venne trasferita la licenza a sviluppatori esterni, mantenendo solo il controllo della produzione. «Return to Castle Wolfenstein» uscito nel 2001 fu sviluppato dalla Gray Matter Interactive insieme alla Nerve Software e in Germania è tuttora all’indice.

«È un dato di fatto che non puoi evitare. La questione è, tuttavia, come rendere la lotta contro i nazisti il più spettacolare e memorabile possibile. Anche se i nazisti del gioco sono estremamente stilizzati, si basano comunque su un’ideologia reale. Se non avessimo trattato questo aspetto in modo così chiaro, avremmo rischiato di banalizzare gli elementi di questa ideologia», prosegue.

«Sei sul campo di battaglia e combatti contro i nazisti... ma a volte devi semplicemente portare un vassoio con del caffè e servirlo. È fantastico! Secondo me queste cose ancorano tutto ciò che succede alla realtà». In Germania però il gioco si svolge in una forma modificata: BJ Blazkowicz combatte contro «il regime» e anche tutta la simbologia è stata modificata.

«Wolfenstein: The New Order (2014)» e «Wolfenstein 2: The New Colossus» sono diventati due dei migliori sparatutto story-driven dei nostri tempi, particolarmente apprezzati per la loro tecnica raffinata, il gameplay avvincente e l’ambizione narrativa.

«Wolfenstein: The Old Blood» del 2016, lo spin-off «Wolfenstein: Youngblood» in modalità cooperativa (2019) e l’adattamento VR «Wolfenstein: Cyberpilot» (2019) non sono allo stesso livello in termini di qualità. Gli ultimi due titoli, però, furono i primi della serie a rientrare nella clausola di adeguatezza sociale e che quindi poterono utilizzare di nuovo croci uncinate e motivi simili anche in Germania.

«Wolfenstein 3D» si rifà a una storia trentennale che è stata riproposta negli attuali adattamenti di MachineGames. Come sarebbe stato il mondo dei videogiochi se «Wolfenstein 3D» non avesse avuto tutto quel successo? Anche se oggi molti considerano Doom il vero motore della rivoluzione degli sparattutto, è innegabile il ruolo altrettanto fondamentale svolto da «Wolfenstein 3D».

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