Retroscena

«The Mandalorian» stagione 2, episodio 1: cowboy e bebè nello spazio

Luca Fontana
30.10.2020
Traduzione: Leandra Amato

«The Mandalorian» è tornato. Nel capitolo 9, «Lo sceriffo», Din Djarin alias Mando è alla ricerca di altri mandaloriani. Incontra vecchie e nuove conoscenze e, alla fine, troviamo un grande momento pieno di mistero.

Prima di tutto, questa è la recensione di un episodio e contiene spoiler. Quindi guarda il primo episodio della seconda stagione e poi continua a leggere.


Due figure emergono dall'ombra. Una grande, con elmo e completamente coperta da un’armatura di beskar. L’altra piccola, verde e con lunghe orecchie a punta, che fluttua in una piccola scatola da trasporto a forma di uovo.

Din Djarin, il mandaloriano, e il bambino.

L'arena da combattimento

Gor Koresh potrebbe sapere dove si trovano altri mandaloriani. Questi, a loro volta, potrebbero sapere dove trovare i simili del bambino con l'aiuto della loro rete galattica. Così Djarin completerebbe la missione che aveva accettato nel «Capitolo 8: Redenzione» dall’Armaiola: riportare il bambino al suo popolo. Questa è la via.

Koresh vuole scommettere per l'informazione. Scommette sull'imminente morte del «suo» gamorreano, che sta combattendo nell'arena. Ma il mandaloriano non si lascia coinvolgere. Non se il suo destino dipende dalla fortuna. Koresh e i suoi scagnozzi tirano fuori il blaster e uccidono il gamorreano, imbrogliando Mando. Avevano questo piano in mente fin dall'inizio.

Si scopre che Koresh sta dando la caccia ai mandaloriani per ucciderli e ottenere le loro preziose armature di beskar. Djarin rimane calmo. Offre al piccolo e grasso abyssino di risparmiargli la vita in cambio delle informazioni. Koresh rifiuta. Poi volano scintille.

Prima che il boss della malavita se ne accorga, è appeso a testa in giù a un lampione all’esterno, opera della pistola da polso di Djarin, conosciuta nel «Capitolo 1: Il Mandaloriano». Finalmente Koresh parla e rivela che un mandaloriano è stato visto su Tatooine, a Mos Pergo, giurando su Gotra.

Djarin se ne va, abbandonando Koresh a degli occhi rossi – e quindi a una morte raccapricciante.

Rotta verso Tatooine.

Lo sceriffo nel deserto

Din Djarin corre nel deserto, trova Mos Pelgo, e non solo. Nella cantina incontra un uomo in armatura mandaloriana, forse il più famoso della galassia.

È l'armatura di Boba Fett.

L'armatura sembra consumata. Non è rimasto quasi niente dell’iconica vernice verde. Graffi ovunque. Forse a seguito dell'incidente nella fossa del Sarlacc?

Poi l'uomo con l'armatura di Boba Fett si toglie l’elmo. Quindi non vive secondo il credo mandaloriano. E non è nemmeno Boba Fett. L'uomo è Cobb Vanth, sceriffo e protettore di Mos Pelgo.

Djarin, Mando, rivuole l'armatura del suo popolo. Vanth si rifiuta di cedergliela. Inizia la lite. Ma prima che uno dei due pistoleri possa sparare il primo colpo, la terra trema. Una tempesta di sabbia? No. È nel terreno. Una specie di squalo, grande quanto tutta Mos Pelgo, che non nuota nell'acqua ma nella sabbia.

Un Drago Krayt. Il primo vivente che i fan di Star Wars hanno modo di vedere. Finora si conoscevano solo i resti scheletrici.

Gli abitanti nelle loro case sono al sicuro. Ma un povero Bantha sulla sabbia no. Vanth si offre di restituire l'armatura mandaloriana a Djarin se quest’ultimo lo aiuta a uccidere il Drago Krayt e a salvare Mos Pergo. Djarin accetta.

I due vanno a caccia della creatura.

Alleanza con i Tusken

Ma i due uomini non possono uccidere il Drago Krayt da soli. Per fortuna incontrano un insediamento di sabbipodi. Djarin, che padroneggia la lingua dei predoni Tusken, li convince ad unirsi alla loro caccia. Allo stesso tempo Vanth convince anche gli abitanti della sua città a fraternizzare con i sabbipodi. Un’alleanza che dovrebbe prevenire futuri spargimenti di sangue – a patto che non vengano divorati prima dal Drago Krayt.

La pace è fragile, ma regge. Almeno per ora. Insieme, gli umani e i Tusken si recano in una grotta di Sarlacc abbandonata. Qualcosa che in realtà non esiste più. A meno che il Sarlacc non sia stato divorato. Ma cos'è abbastanza grande da divorare un Sarlacc?

Il piano: attirare il drago fuori dalla grotta, tenerlo con gli arpioni e poi farlo saltare in aria con l'esplosivo sepolto nel terreno.

Un combattimento tremendo all’ultimo sangue. Il Drago Krayt si ribella. La prima carica di esplosivo non gli fa nemmeno un graffio. Poi il Krayt sputa un liquido acido sulla gente. Come ratti womp, sono alla mercé del drago assassino.

Djarin ha un'idea. Attira il drago verso di lui e afferra un Bantha, che trasporta un altro carico di esplosivo. Il drago attacca. Djarin si salva all'ultimo secondo. Ma il Bantha e tutti gli esplosivi vengono inghiottiti. Djarin attiva l'esplosivo – e fa a pezzi il Krayt.

La battaglia è vinta.

Il grande momento misterioso alla fine

Din Djarin corre sul suo speeder. A bordo ci sono anche il bambino e l'armatura di Boba Fett. I soli di Tatooine all'orizzonte. Lì, dove un'altra figura inosservata si erge sul crinale. Armata di bastone e fucile. Stoicamente osserva il passaggio del mandaloriano. Poi si allontana.

È Boba Fett.

Grande inizio della seconda stagione

Il capitolo 9 della seconda stagione di «The Mandalorian» è più grande. In quasi tutto. Questo nono capitolo, con i suoi 54 minuti, è il più lungo di «The Mandalorian». Ma trasporta subito il pubblico in una galassia molto, molto lontana. Questo grazie allo showrunner Jon Favreau, che ha anche diretto per la prima volta.

Per prima cosa, ci sono le inquadrature del paesaggio. Grande, epocale e maestoso. In ampie inquadrature, Favreau cattura i mari di dune di Tatooine più magnificamente di qualsiasi altro regista prima di lui. Ancora una volta accompagnato dalla musica di Ludwig Goransson, che continuo a canticchiare per almeno mezza giornata dopo ogni episodio.

D'altra parte, «The Mandalorian» stupisce con effetti computerizzati degni di un film. Soprattutto il Drago Krayt. Non avrei potuto desiderarlo più potente e brutale di così. Già da bambino in «Star Wars - Episodio IV: Una nuova speranza» mi sono interrogato su questi resti scheletrici su Tatooine. Mi chiedevo che razza di bestia fosse.

Ora lo so. Bello.

È anche bello il modo in cui la serie esplora e anima il suo universo. All'inizio, per esempio, la scena del «Fight Club». Alieni dappertutto, tutti dettagliati per una mini apparizione. E poi ci sono le vibrolame. Questo è ciò che amo di «Star Wars». L'universo sembra reale. Sporco.

Vivo.

E: il nono capitolo rimane fedele al motto dei suoi predecessori. Il filo conduttore – la ricerca dell'origine del bambino – rimane sullo sfondo. In primo piano si vive una storia che è qualcosa come «la giornata tipica di un mandaloriano». Mi è sempre piaciuto in «The Mandalorian», ma qui avrei voluto che la storia principale fosse stata spinta un po' più in là. La ricerca dei simili del bambino è ferma esattamente dove eravamo all'inizio.

Ciononostante: l'inizio è stato davvero buono. Bombastico e pieno di azione. Pedro Pascal nei panni del mandaloriano è ancora il più figo di tutti. Timothy Olyphant che interpreta Cobb Vanth è una bella aggiunta, che sarà certamente rilevante verso la fine della stagione.

Quindi la comparsa di Morrison può significare due cose.

  1. Interpreta un vecchio guerriero clone – ad esempio il capitano Rex.
  2. Interpreta Boba Fett.

Io scommetto sulla seconda opzione. Il capitano Rex è uno dei preferiti di «Star Wars: The Clone Wars» e «Star Wars: Rebels». Sulla linea temporale, si inserirebbe anche bene. Ma vogliamo parlare del ritorno di Boba Fett? Quanto sarebbe figo? Soprattutto in una serie chiamata «The Mandalorian» e in un capitolo in cui appare l'armatura di Boba Fett.

Aha. Voglio sapere cosa ne pensi del primo episodio. Le tue teorie e osservazioni. Ci sono degli Easter Egg che non ho notato? Fammelo sapere nei commenti. E venerdì prossimo continueremo con il «Capitolo 10».

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Scrivo di tecnologia come se fosse cinema – e di cinema come se fosse la vita reale. Tra bit e blockbuster, cerco le storie che sanno emozionare, non solo far cliccare. E sì – a volte ascolto le colonne sonore più forte di quanto dovrei.


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