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Retroscena

Poltiglia uniforme nella musica mainstream, parte 4: i motivi

David Lee
15.11.2019
Traduzione: Nerea Buttacavoli

Ora lo sappiamo: che le classifiche siano sempre più noiose non è solo un’impressione, degli studi lo hanno dimostrato. Ma c’è ancora una grande questione irrisolta: perché? Un tentativo di spiegazione.

È colpa di Max Martin. È stato lui a rovinare la musica. Arriveresti a questa conclusione guardando i video di spiegazione su YouTube che trattano questo argomento. Max Martin, in veste di produttore e songwriter, è coinvolto nella creazione di molte canzoni di successo, tra cui quelle di Britney Spears, Katy Perry e Taylor Swift. Discogs lo cita co-autore di 1236 canzoni. Per forza tutte le canzoni sembrano uguali, se vengono prodotte tutte dalla stessa persona.

Abbiamo trovato il capro espiatorio. Ma non è così semplice. Che tutto venga fatto con gli stessi ingredienti non è colpa di Max Martin. Da produttore, fa tutto ciò che deve essere fatto per avere successo. Se non lo facesse lui, lo farebbe qualcun’altro.

I motivi per la sempre crescente monotonia nella musica mainstream sono complessi e non riconducibili ad una sola persona. Se c’è una grande causa principale è la lotta per l’attenzione, che diventa sempre più ardua con il progresso tecnico.

Ogni canzone è sempre disponibile all’ascolto

Per via di Spotify e compagnia bella, milioni di canzoni sono disponibili all’ascolto sempre e ovunque. Per questo, raramente mi prendo il tempo di ascoltare con attenzione un album – in fin dei conti c’è così tanto da sentire. Se ci penso tutte le canzoni mai esistite sono in continua lotta per la mia attenzione. Nell’era dei CD questa concorrenza c’era solo per la parte di musica limitata che io stesso possedevo, oltre a quel paio di CD di cui potevo fare l’ascolto di prova in negozio.

Nella lotta per l’attenzione, le canzoni da una parte devono spiccare, dall’altra devono apparire familiari. Ciò che è familiare è più orecchiabile. Alle cose estranee bisogna prima abituarsi e questo richiede tempo, ispirazione e concentrazione. Se un CD è un libro, Spotify è un notiziario online. Le canzoni, di conseguenza, sono sempre più corte.

Fonte: Dan Kopf/qz.com; Billboard; Michael Tauberg
Fonte: Dan Kopf/qz.com; Billboard; Michael Tauberg

Lo streaming è l’ultima tappa dell’evoluzione e, per ora, sembra rimanere insuperata: è sempre più facile giungere alla musica. Già i baratti con gli MP3 hanno messo a disposizione più musica di quanta ne potessi ascoltare. Prima di questi esistevano già i CD masterizzati, MTV e innumerevoli emittenti radiofoniche: sono tutte cose che mio padre non aveva durante la sua gioventù.

Nuovi gatekeeper

Nell’era di Internet, i musicisti diventano famosi diversamente. Prima girava tutto attorno ai contratti discografici. Erano le grandi case discografiche a decidere a chi dare un’opportunità e a chi no, in seguito ad una preselezione.

Persino i Beatles furono vittime della preselezione delle case discografiche. Nel capodanno 1962 si sono esibiti da Decca – sono stati rifiutati nonostante l’esibizione impeccabile. Più tardi sono stati presi da Parlophone/EMI.
Persino i Beatles furono vittime della preselezione delle case discografiche. Nel capodanno 1962 si sono esibiti da Decca – sono stati rifiutati nonostante l’esibizione impeccabile. Più tardi sono stati presi da Parlophone/EMI.

Oggi i musicisti potrebbero produrre la loro musica da soli, dalla A alla Z. L’intera attrezzatura è molto meno cara e più potente. La pubblicazione non è un problema, lo può fare chiunque al giorno d’oggi.

Questo dovrebbe comportare una scelta maggiore, non minore. Chi un tempo veniva rifiutato dai produttori perché non incontrava il gusto moderno, oggi può arrangiarsi da solo. Probabilmente la varietà musicale è aumentata, se si guarda l’intero campo musicale. Ma è una varietà che non raggiunge le classifiche. Senza il sostegno delle case discografiche, la musica sperimentale e innovativa rimane spesso di nicchia.

Alle case discografiche non conviene più sostenere i musicisti più avventurosi. Questo prima era sicuramente diverso: c’era sempre la possibilità di un successone inaspettato con cui fare incassi enormi. Gli incassi erano così grandi che tutti gli investimenti mancati non avevano più la minima importanza.

Oggi gli incassi sono generalmente più piccoli, i successoni inaspettati sono sempre più rari e oltretutto la promozione dalle case discografiche è sempre più cara. Secondo IFPI, l’associazione dell’industria musicale, promuovere un artista in grande stile costa tra i 200 000 e i 700 000 dollari. Il marketing e la promozione sono le spese più salate, prima ancora della produzione del video musicale. Io vedrei anche il videoclip come promozione.

Di conseguenza, le case discografiche non vogliono più correre rischi. Viene portato a termine solo quello che ha grandi possibilità di avere molto successo. Ma questo vuol dire che tutto prosegue secondo lo schema predefinito e sicuro.

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Non decidono le persone, decidono gli algoritmi

In teoria ognuno può tentare la sua fortuna da solo, ma le probabilità di riuscita sono poche. Sulle piattaforme streaming si può trovare ogni canzone, ma non tutte hanno la stessa visibilità. Per questo motivo c’è ancora oggi una preselezione, con la differenza che non sono più le persone a farla, ma gli algoritmi. Le canzoni che ti vengono consigliate e suggerite su Spotify e YouTube sono il risultati di algoritmi.

Queste raccomandazioni in parte vengono definite da ciò che ascolti frequentemente, ma ci sono anche canzoni che vengono suggerite più spesso. Chi viene raccomandato spesso, riceve più attenzioni, di conseguenza viene ascoltato di più e finisce in qualche classifica – riceve quindi ancora più attenzioni, fino a quando un pezzo non sarà alle stelle.

Analisi, cosa funziona e cosa no

Gli artisti e le case discografiche cercano di scoprire il funzionamento degli algoritmi. Alcune cose sono conosciute. In Spotify, stando a Pitchfork, una canzone deve essere ascoltata per almeno 30 secondi consecutivi per essere considerata «ascoltata».

Chi produce le grandi Hit fa quindi in modo di rendere molto interessanti i primi 30 secondi. Ciò che segue non ha tanta importanza. Specie la «Hookline», la parte che poi diventa la pulce nell’orecchio, deve esserci nei primi 30 secondi.

La hit attuale «Memories» dei Maroon 5 è un buon esempio. Comincia con una melodia orecchiabile, ripetuta tre volte nei primi 30 secondi. Dopodiché, nulla di nuovo. Sempre solo una melodia di 10 secondi, forse leggermente modificata per alludere a quello che dovrebbe essere il ritornello.

Non è nemmeno colpa dei vari gruppi e artisti, ma proprio dei tempi. Le prime hit dei Maroon 5 del 2002 sono concepite diversamente. «She will be loved» ha un vero ritornello (al secondo 00:59 nel video), un bridge (02:45) e un outro (03:55). Nei primi 30 secondi non succede molto – quello che rende la canzone un tormentone è il ritornello. Nell’era di Spotify un pezzo del genere verrebbe saltato.

Dimentica la classifica

Tanti lo hanno già notato e fatto notare nei commenti delle prime tre parti: c’è una selezione enorme, sta a te prenderti il tempo e spulciarla attivamente. Le classifiche e la radio non sono più una fonte di ispirazione, ma le raccomandazioni di amici, curatori, scoperte casuali su Internet – per gli amanti della musica non esiste tempo migliore di oggi. È solo diventato un po’ più difficile trovare ciò che veramente ti piace, avendo una selezione pressoché infinita.

Immagine di copertina: shutterstock.com

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Il mio interesse per il mondo IT e lo scrivere mi hanno portato molto presto a lavorare nel giornalismo tecnologico (2000). Mi interessa come possiamo usare la tecnologia senza essere usati a nostra volta. Fuori dall'ufficio sono un musicista che combina un talento mediocre con un entusiamso eccessivo. 


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