
Retroscena
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di Luca Fontana
I «secondos» che prestano servizio militare in Svizzera sono «veri» svizzeri? Vuole scoprirlo con il suo film l’autore e regista Luka Popadić, anche lui emigrato di seconda generazione e ufficiale svizzero. Ne parliamo insieme.
«Caffè crema» esclama Luka Popadić con un sospiro di sollievo, quando finalmente solleva con la mano il bicchiere di carta fumante. La consumazione avviene al bar del ristorante Deli 1993 di Zurigo. «Senza caffè non riesco proprio a funzionare», aggiunge.
È venerdì mattina, non troppo presto. Prima di sedersi al ristorante, Luka ha ancora indosso un elegante cappotto nero e un berretto di lana. Ha anche gli occhiali e la barba. Fuori fa freddo. Appena inizia a sorseggiare l’agognata bevanda, lo sguardo si fa più attento. E la voce si schiarisce. Luka non è solo un autore e regista formatosi in Serbia, ma è anche un ufficiale dell’esercito svizzero.
Ed è proprio su questo – ovvero sul sistema di milizia svizzero – che Luka ha voluto fare un film. Almeno in teoria. Ne è risultato, però, un film totalmente diverso. Che si addentra in domande molto più personali. Ad esempio, se i secondos, vale a dire i ragazzi nati in Svizzera ma figli di immigrati, che prestano il servizio militare siano «veri svizzeri».
Luka Popadić è nato in Svizzera. Nel 1980, per la precisione. E quando Luka racconta della sua giovinezza spericolata nel tedesco svizzero tipico della valle della Limat, emerge con forza il suo patriottismo autoctono. Nel 2009 sceglie però di tornare nella patria dei suoi genitori, la Serbia, dove cinque anni più tardi consegue un master in regia cinematografica presso la Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado.
«Non è stata una formazione semplice», racconta Luka, «era tutto molto tradizionale. Estremamente rigido. Ci insegnavano i grandi registi del paese che ci hanno trasmesso i loro insegnamenti e la loro saggezza. Ad esempio, ‘Scrivetevi i film da soli’. Ed è così che mi sono formato anche come autore». Luka si abbandona sullo schienale. Sorseggia il caffè. I suoi occhi guardano lontano. O magari al passato? «C’è una frase particolare che mi è rimasta impressa: dove c’è paura, c’è anche terra».
Luka non ricorda con precisione da chi l’ha sentita. Ma si ricorda cosa significa. Ovvero, che le storie migliori spesso si nascondono dove nessuno ha il coraggio di guardare. Vale a dire, là dove le storie diventano troppo personali. Chi riesce a superare questa paura, troverà la migliore versione possibile della sua storia e quindi la sua terra. Un insegnamento che a Luka è tornato molto utile mentre lavorava a «Echte Schweizer». Il suo film, infatti, in origine era completamente diverso.
«Ma tu sei un regista! In Serbia! Perché devi fare anche il servizio militare? E in Svizzera, per di più?»
«Doveva essere all’incirca il 2014», Luka inizia a raccontare la genesi del suo ultimo film. All’epoca aveva già realizzato diversi cortometraggi e li aveva presentati in festival cinematografici di tutto il mondo. Ma ad un certo punto è arrivato il momento in cui ha dovuto scusarsi per non poter partecipare a un imminente festival cinematografico in Serbia. Luka se lo ricorda come se fosse ieri:
«Mi dispiace, ma la prossima volta non ci sarò: purtroppo devo prestare servizio militare per qualche settimana».
«Cosa? Come hai detto? Servizio militare?».
«Già».
«Ma qui, in Serbia?».
«No, no. In Svizzera».
«Svizzera!? Ma sei un regista! In Serbia! Perché devi fare anche il servizio militare? E in Svizzera, per di più?».
«Beh, in realtà sono anche un ufficiale dell’esercito svizzero».
«Ufficiale! Ma come puoi essere un ufficiale, se di lavoro fai il regista? Ma è una vera … Non si può essere tutte e due le cose insieme!?».
Non sono molti i Paesi che conoscono il sistema della milizia. E sono ancora meno quelli in cui questo sistema è parte integrante dell’immagine del paese, come succede in Svizzera. Nessuno mette in discussione il fatto che si possa essere agricoltori, panettieri o banchieri e che una volta l’anno si debba comunque tirare fuori il fucile dalla cantina per difendere il Paese. «Avere un grado così alto senza essere un militare professionista e fare un lavoro completamente diverso durante il resto dell’anno: per me è normale, ma la gente in Serbia non riusciva proprio a concepirlo».
Aveva così trovato il soggetto del suo primo lungometraggio: il sistema della milizia svizzera.
Ben presto Luka si rende conto che il sistema di milizia svizzero poteva essere l’argomento di un reportage interessante. Ma non aveva la gravitas necessaria a un film da portare nelle sale. Serviva qualcos’altro. Più spessore. Più storia.
«Ed è allora che mi è venuta in mente un’altra cosa», racconta. Per i suoi colleghi serbi, non era solo il sistema della milizia a essere fuori dall’ordinario. Ma anche il fatto che Luka, in quanto «serbo» che all’epoca lavorava e viveva ancora in Serbia, dovesse prestare servizio militare in Svizzera. Perché mai? Che cosa spinge un emigrato di seconda generazione a fare una cosa del genere?
«E soprattutto: come mi considerano i ‘veri’ svizzeri nella milizia?»
Luka vuole andare più in fondo alla cosa. Vuole esplorare la paura delle risposte che potrebbe ricevere. La Svizzera per lui e gli altri emigrati di seconda generazione è qualcosa di più di un semplice paese ospitante? E soprattutto: come lo considerano i «veri» svizzeri nella milizia?
«Dove c’è paura, c’è anche terra».
Luka non ha mai smesso di sorseggiare il suo caffè crema. Ora lo appoggia sul tavolo. Per la prima volta. È vuoto. Il bicchiere di carta, non l’ufficiale svizzero. «Al mio successivo servizio militare, ho cercato un contatto diretto con l’ufficio stampa dell’Esercito svizzero. Mi sono presentato, con tutto quello che avevo fatto fino ad allora e con la mia idea». Luka si piega in avanti, lancia una rapida occhiata al bicchiere di carta e si assicura che sia effettivamente vuoto. Poi si lascia andare di nuovo all’indietro.
Ci sono volute settimane per avere la risposta dall’esercito. «Velocità bernese», scherza Luka, ma alla fine ha ottenuto il via libera. E non da uno qualunque: direttamente dal governo federale, nella persona del capo del dipartimento. Una gran soddisfazione. «Ero sconvolto».
Per Luka non era così scontato che l’esercito avrebbe acconsentito al documentario. Non solo perché si tratta di un argomento spesso oggetto di polemiche. Ad esempio, nel 2015 l’allora ministro della Difesa Ueli Maurer aveva messo in dubbio la lealtà dei secondos nell’esercito. Ecco perché Luka ha l’idea di filmare, con una telecamera e un microfono, le «sacre stanze» all’interno delle caserme, dei depositi di carri armati e dei poligoni di tiro per mostrare l’esercito e i suoi membri così come sono veramente, inclusi quei momenti assurdi, in bilico tra sofferenza e miseria, che rasentano la situation comedy. Chiunque abbia fatto il servizio militare lo sa. Ma il resto della gente?
«Non ho mai concesso diritto di veto all’esercito svizzero. Volevo essere indipendente. Era una cosa a cui tenevo molto».
Tuttavia, e Luka ne dà merito ai vertici militari, c’è un grande interesse verso il «dialogo» con la popolazione svizzera, come attesta la lettera del capo delle forze armate. Nel miglior gergo militare. Ma sincero. Una notizia che rende Luka euforico e spaventato allo stesso tempo. In fondo, l’esercito ha riposto una grande fiducia in lui.
«Non ho mai cocncesso diritto di veto all’esercito svizzero. Volevo essere indipendente. Era una cosa a cui tenevo molto. Altrimenti non avrei fatto il film e l’esercito ha rispettato questa mia richiesta», spiega Luka. In cambio, assicura che avrebbe sempre informato l’esercito dello stato di avanzamento del progetto con la massima apertura e trasparenza. Per contro, l’esercito confidava nel fatto che Luka non li avrebbe massacrati.
Nella fase successiva, Luka ha scelto i tre protagonisti da rappresentare nel suo film: Saâd, Thuruban e Andrija, tre ufficiali svizzeri con origini, rispettivamente, serbe, srilankesi e tunisine. Luka ha una grande responsabilità anche nei loro confronti, che dovranno mostrare il loro lato più privato. Ma a loro il diritto di veto l’ha concesso. Questo Luka l’aveva ben chiaro fin dall’inizio. «Non volevo che raccontassero cose di cui successivamente avrebbero potuto pentirsi o che potessero addirittura mettere a repentaglio il loro futuro professionale senza che potessero fare nulla».
«Ne è uscito un film buono. Ma non abbastanza. Mancava ancora qualcosa. O meglio: mancava ancora qualcuno, ovvero io».
Tuttavia, nessuno dei tre protagonisti ha utilizzato questo diritto di veto. Una cosa di cui Luka è orgoglioso. Un segnale, per lui, che aveva preparato bene le domande e le aveva poste nel modo corretto. Almeno nel contesto del film. Ad esempio, se i suoi tre protagonisti sarebbero pronti a dare la vita per la Svizzera, in caso di guerra. Roba tosta.
Ma mancava ancora un protagonista.
«È vero: per molto tempo ho resistito all’idea di partecipare al film. Non amo essere al centro dell’attenzione. Preferisco che ci stiano altri», spiega il capitano Popadić, a suo agio sulla sedia. Se è una cosa che lo imbarazza ammettere, non lo fa intravedere. Luka potrebbe essere non solo un autore e un regista, ma anche un attore. Senza alcun dubbio.
In effetti, probabilmente questa sua riluttanza è stata una delle ragioni per cui la produzione di «Echte Schweizer» ha richiesto ben otto anni. Da un lato, la pandemia di Covid del 2020 lo ha rallentato. D’altro canto, Luka nel 2021 aveva già un film finito, comprensivo di montaggio, audio e persino sottotitoli. Tuttavia: «Ne è uscito un film buono. Ma non abbastanza. Mancava ancora qualcosa. O meglio: mancava ancora qualcuno, ovvero io».
Eccola lì. La paura che gli impediva di vedere la terra.
Luka prese allora una decisione difficile.
«Al primo taglio, mi sono arreso.», sospira Luka, «Era semplicemente impossibile rendere centrale la mia storia integrandola nel montaggio in corso. Non sarebbe andato bene. Abbiamo dovuto ricominciare di nuovo da capo».
A Luka sarebbe piaciuto lavorare ancora con l’ex editor Stefan Kälin. Ma la cosa non riuscì, per conflitti con il suo calendario. Forse è stato meglio così. Rivedere oltre 140 ore di materiale filmato con un nuovo approccio e rieditarlo sarebbe stato comunque difficile. Ed è qui che entra in gioco Katharina Bhend, che chiarisce sin da subito che avrebbe montato il film solo se il regista fosse comparso anche lui davanti alla macchina da presa, come quarto protagonista e narratore.
Tre anni dopo, «Echte Schweizer» è in visione in oltre 30 sale di lingua tedesca. A inizio anno ha persino vinto il premio del pubblico alle Giornate di Soletta. Un grande riconoscimento per Luka. Soprattutto dopo aver resistito a una produzione durata otto anni e a opposizioni provenienti talvolta da ambienti inaspettati.
«Probabilmente per la politica di sinistra sostenere il film significa sostenere indirettamente anche l’esercito».
«Il finanziamento del film, poi, non è andato molto bene. Per molti la presenza dei secondos nelle forze armate è ancora un argomento scomodo». Luka si considera politicamente neutrale. Il maggiore sostegno, però, è arrivato dalla destra. «Assurdo, vero?», mi dice con un sorriso malizioso. Ma se ci pensasse un attimo, capirebbe il perché.
«Vedi, probabilmente per i politici di sinistra sostenere il film significa sostenere indirettamente anche l’esercito», spiega Luka, un po’ più seriamente, piegandosi in avanti e constatando che la sua tazza di caffè crema è ancora vuota. «Nel contempo, però, non potevano nemmeno schierarsi attivamente contro il film, perché questo avrebbe significato osteggiare anche i secondos: una mossa politica suicida. Quindi sono rimasti bloccati in un limbo in cui ‘nessuna reazione’ è al contempo anche una reazione, ma la meno rischiosa per loro».
Non si può non notare il leggero disappunto del regista di Baden dalle origini serbe. In realtà, il suo film ambisce ad essere più di un «semplice» film sugli immigrati di seconda generazione nell’esercito che vuole trasmettere un messaggio ben preciso. Ognuno dovrebbe decidere autonomamente che cosa ama del film. «A me interessa solo mostrare come sia complessa e sfaccettata la Svizzera. E se alla fine il film riuscirà a farci sentire tutti più connessi, potrò dirmi soddisfatto».
Lo sguardo di Luke torna al bicchiere di carta. Alla fine lo afferra e si alza in piedi. «Mi sa che ora ho bisogno di un altro caffè crema».
«Echte Schweizer» xx è in proiezione in oltre 30 cinema di lingua tedesca dal 4 aprile. Anche a Baden. Il documentario sarà proiettato nella Svizzera francese dall’inizio di settembre 2024.
La mia zona di comfort consiste in avventure nella natura e sport che mi spingono al limite. Per compensare mi godo anche momenti tranquilli leggendo un libro su intrighi pericolosi e oscuri assassinii di re. Sono un appassionato di colonne sonore dei film e ciò si sposa perfettamente con la mia passione per il cinema. Una cosa che voglio dire da sempre: «Io sono Groot».