
Recensione
«Cronos: The New Dawn» alla prova: un capolavoro dell'horror, terrificante e quasi perfetto
di Domagoj Belancic
«Little Nightmares 3» è un capolavoro di atmosfera: brillante sia a livello visivo che sonoro e drammaturgicamente denso. A livello di gameplay, però, emergono routine e momenti di frustrazione che occasionalmente frenano il terrore perfettamente orchestrato.
Mi sveglio nell'oscurità. Gocce di umidità cadono dal soffitto e formano una pozzanghera accanto a me. Il pavimento è freddo, grezzo e odora di ruggine. Non ho idea di dove sono. So solo che devo alzarmi.
Un leggero fruscio. Un movimento. Due punte blu lampeggiano nella semioscurità. Low, il ragazzo con la maschera da corvo. Tiro un sospiro di sollievo, silenzioso, quasi impercettibile. Non parliamo, mi basta il suo sguardo. Sfila l'arco da dietro la schiena e controlla la corda. Afferro la mia chiave inglese: pesante, familiare, quasi troppo grande per le mie mani.
Insieme ci mettiamo in movimento. La nebbia inghiotte ogni rumore, tranne il gocciolio e lo scalpiccio dei nostri passi. A volte, per un attimo, sento un altro rumore: un rimbombo sordo in lontananza, come se qualcosa di grande stesse respirando. Non voglio sapere che cos'è.
Già dopo pochi minuti capisco che cosa riesce a fare così bene «Little Nightmares 3»: farmi sentire che ogni movimento è un atto di coraggio. Che si può essere piccoli, impauriti, persi e andare comunque avanti.
La principale novità è il sistema a due. Ovvero due personaggi, Alone e Low, che condividono l'orrore. Per la prima volta nella serie non devi affrontare un incubo in solitaria, ma lo vivi in coppia.
Nella modalità single player all'inizio scelgo chi interpretare: Alone, la ragazza con le trecce rosse e la tuta verde, oppure Low, il ragazzo con il mantello blu e la maschera da corvo. L'altro compagno viene invece controllato dall'IA. Scelgo di essere Alone.
Chi gioca in coppia vive il viaggio in modalità cooperativa, insieme al proprio compagno. Purtroppo, non ho ancora potuto testare questa modalità. Sfortunatamente questa funzione non è disponibile in modalità crossplay e funziona solo tramite internet, quindi non si può giocare insieme su un unico dispositivo.
«Little Nightmares 3» non è un gioco che spiega. Ti butta dentro, ti lascia inciampare, fallire, imparare. Non ci sono simboli lampeggianti, comandi sullo schermo, voci fuori campo che ti dicono cosa fare. Tutto nasce dal movimento, dall'intuizione, dall'interazione tra me e Low. E proprio questa è la principale forza del gioco. Ma anche la sua più grande debolezza.
Perché per quanto ami questa fiducia incondizionata, mi ha anche fatto perdere spesso le staffe. Sono davanti a un meccanismo, vedo delle corde, degli ingranaggi, delle piattaforme, ma il gioco non mi dice nulla. Aspetta pazientemente, quasi beffardamente, come se volesse verificare quanto tempo resisterò. Gli enigmi sono raramente complessi, al contrario: sono per lo più così semplici che non mi sento mai particolarmente intelligente quando li risolvo.
La cosa è risultata particolarmente evidente in una situazione che mi ha fatto quasi perdere la pazienza: una pedana che si attiva solo quando tutti e due i personaggi ci saltano sopra assieme. Sembra facile, ma non lo era. Ci ho provato non due, non tre volte. Forse dieci. O magari venti. Ancora e ancora. Perché prima bisogna capire che serve saltare più volte sulla stessa pedana prima che finalmente funzioni.
E tuttavia continuo a giocarci. Nonostante tutta la frustrazione, nonostante alcuni passaggi difficili. Perché prima o poi dietro il prossimo angolo mi aspetta un altro momento che mi lascerà senza parole: silenzioso, freddo, inaspettato. Forse è proprio questa la vera anima gioco: mi costringe ad avere fiducia anche se ormai mi ha reso diffidente.
Forse è proprio per questo che non mollo. Per questo mondo che continua a catturarmi, anche se sono già irritato da tempo. «Little Nightmares 3» non è ambientato in una semplice città, ma in un grande intreccio di incubi chiamato «The Spiral». È un cosmo distorto, fatto di luoghi che sembrano creati dalla paura.
Quando percorro furtivamente gli stretti vicoli, vedo le lanterne tremolanti nella nebbia e sento il rimbombo sordo nelle profondità, provo di nuovo quella sensazione che rende questa serie così unica: la paura non come shock, ma come condizione esistenziale.
Ma «The Spiral» è più grande. Oltre Necropoli ti attendono nuovi incubi: una fabbrica di dolciumi dove ronzano macchinari appiccicosi e vapori zuccherini si alzano come nebbia; una fiera grottesca dove figure mascherate danzano in cerchi infiniti; e l'Istituto, un luogo di fredda precisione, dove persino il silenzio sembra meccanico.
Quello che Supermassive Games ha creato in questo gioco è semplicemente eccezionale dal punto di vista grafico. Ogni scena è stata realizzata con grande cura, ogni dettaglio racconta qualcosa. Il gioco sa come contrapporre silenzio e suono: il gocciolio dell'acqua, lo scricchiolio di vecchi scalini, il lontano rombo di una macchina che non si ferma mai. Tutto sembra piazzato con intenzionalità, mai a caso. Persino il silenzio sembra parte integrante della musica.
Mi rendo presto conto che il mondo di «Little Nightmares 3» non è solo costituito da ombre. Ma ne ha anche il suono. Supermassive Games ha creato un paesaggio sonoro di prim'ordine. Nelle gallerie i miei passi riecheggiano come un segnale di allarme, nei cunicoli stretti risuonano smorzati, come se l'oscurità volesse inghiottirmi.
Il suono non è mai un accessorio. Invece mi guida, mi avverte, mi imbroglia. Sento le cose ancor prima di vederle: un tintinnio metallico in lontananza, un raschio sopra di me, un respiro profondo e gutturale dietro una parete. E ogni volta il mio passo rallenta, come se il gioco mi tenesse legato a un guinzaglio invisibile. «Little Nightmares 3» sa bene che l'orecchio riconosce la paura prima degli occhi.
Mi piace che qui l'orrore non sia dato dal volume, ma dalla presenza. Una goccia silenziosa può essere più spaventosa di un urlo, un respiro più vicino di qualsiasi mostro. E a volte, quando percorro un corridoio silenzioso, non sento nulla, proprio nulla, ed è la cosa peggiore.
«Little Nightmares 3» per PC mi è stato fornito da Bandai Namco Entertainment. Il gioco è disponibile dal 10 ottobre per Playstation 5, Playstation 4, Xbox Series X|S, Xbox One, PC, Nintendo Switch e Nintendo Switch 2.
«Little Nightmares 3» è una contraddizione che funziona, almeno in alcuni punti. Supermassive Games porta avanti la serie in modo brillante e suggestivo: il mondo di «The Spiral» è insieme opprimente e meraviglioso, grottesco e vivace. Pochi altri giochi riescono a trasmettere così bene la paura sfruttando il suono, la luce e il silenzio. Ogni suono è perfetto, ogni immagine è una composizione. È un mondo che non si gioca solamente, ma si respira fino in fondo.
Il gameplay, però, arranca. La dualità tra Alone e Low suona interessante, ma in modalità solitaria si trasforma rapidamente in una prova di pazienza. Il gioco ripete troppo spesso le stesse meccaniche senza riuscire a creare suspense. E così cresce la frustrazione. Questo è dovuto anche al fatto che il gioco fornisce poche spiegazioni o indicazioni e si affida molto al principio trial-and-error.
Ma ciò non ne intacca il fascino, perché «Little Nightmares 3» è più emozioni che sistema. Vive di istanti: di una piccola luce nella nebbia, di un respiro troppo vicino, di un suono che ti tormenta anche quando hai già spento tutto. È un gioco che non vuole essere capito, ma sentito. E ciò lo rende unico, nonostante le sue debolezze a livello di gioco.
Pro
Contro
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Mentre mi aggiro furtivamente per Necropoli, ripenso alla prima volta che ho giocato a «Little Nightmares». Questa sensazione di essere intrappolati in un mondo che vuole fagocitarti, non perché sei cattivo ma perché sei piccolo. All'epoca, Tarsier Studios aveva creato qualcosa che non era un semplice horror. Era un'evocazione delle paure infantili, immersa in un'architettura surreale, luci fredde e figure grottesche. «Little Nightmares 2» ha portato avanti tutto questo, rendendolo ancora più grande, più ardito, più cupo.
Ma questa volta c'è qualcosa di diverso. Dietro a «Little Nightmares 3» non c'è più Tarsier, ma Supermassive Games. Lo studio che con «Until Dawn» e «The Dark Pictures Anthology» ha già dimostrato di sapere cos'è la paura, ma in modo differente. Ed ecco che mettono in scena l'orrore come se fosse un'opera teatrale, con luci ricercate, pause nette, tempismo emotivo. E questo cambiamento si avverte immediatamente. Ora il mondo di «Little Nightmares» sembra un po' più strutturato, più mirato nella sua messa in scena. Sembra che ci siano più checkpoint e la trama è totalmente lineare.
Alone ha con sé una chiave inglese, Low un arco. Si completano a vicenda: forza e precisione, vicinanza e distanza. Questa dualità cambia il tono del gioco. Non si tratta più solo di paura, ma anche di fiducia. Del legame silenzioso tra due bambini che devono imparare a fidarsi l'uno dell'altra. Se prima il silenzio significava solitudine, ora è sinonimo di vicinanza. E quando Alone e Low attraversano insieme la nebbia, «Little Nightmares 3» sembra un unico, silenzioso giuramento: usciremo da qui solo se resteremo uniti.
E qui arriviamo al secondo grande punto critico: troppo spesso il gioco ripete le stesse idee, variando solo minimamente i compiti già visti. Sposta l'oggetto. Arrampicati sulla scala. Aspetta il momento giusto. Un modello che dopo un po' finisce per stancare. Laddove i capitoli precedenti giocavano con le sorprese, «Little Nightmares 3» punta più sulla routine. Quindi risulta meno preciso, meno spontaneo. Come se Supermassive Games avesse cercato di preservare la forma senza riuscire a trovare il ritmo giusto.
Il mio percorso mi porta prima a Necropoli, una città che vive e muore allo stesso tempo. Un labirinto senza fine fatto di pietra, lamiera e foschia. Le case sembrano delle gabbie impilate l'una sull'altra, i ponti non portano da nessuna parte, i tubi respirano. Qui ogni cosa si muove, ma nessuna ti aiuta ad andare avanti. Ogni passaggio finisce in un circolo chiuso, ogni porta si apre solo sulla prossima ombra. Eppure, questo mondo ha una sua singolare bellezza.
Qui la musica non è una compagna costante, bensì un intruso. Si manifesta sommessamente, quasi impercettibilmente, quando qualcosa cambia, quando il silenzio è durato troppo a lungo, quando la sicurezza è diventata troppo familiare. Un accordo stonato, un ronzio sussurrato, un basso sordo. A volte la colonna sonora sembra composta solo da brandelli, da cose che non sono state suonate fino alla fine. Ma è proprio questo che la rende così potente: suona come un ricordo, non come un accompagnamento.
Bose Soundlink Plus
20 h, Batteria ricaricabile